Gsavd: Domenico Perrotta, Giuseppe Paladino
Periodo abbastanza complesso questi ultimi mesi di inizio 2025, la partecipazione del gruppo alle uscite in grotta è sempre più rada, per motivazioni individuali più che comprensibili, e alla fine siamo in due, ma l’importante è fare.
Quarta tappa a Grava d’Inverno, dopo una prima uscita con gli amici del Cai Na, e le successive del Gsavd fino all’armo del secondo P35, io e Pino ci accingiamo a raggiungere il fondo (il “vecchio fondo” mi dirà Pino in grotta, perché in realtà poi ce n’è un altro...o meglio qualcosa che gli somiglia...o forse sono io che somiglio ad uno che sembra capire quello che dice Pino...alla fine dico “si, ho capito”...ma sta “storia di fondi” in fondo forse non mi è molto chiara...ma lasciamola lì…).
Calda giornata di marzo: a Sant’Angelo a Fasanella salutiamo quelli del Cai Na che vanno a disarmare DPIF a Corleto Monforte (con tanto di autorizzazione del Sindaco, del Prefetto, il Presidente della Repubblica e anche il fratello di Parascandalo), quando, sistemato l’occorrente in una sola auto, saliamo all’Osservatorio Astronomico.Sacchetto d’armo, corde, maglie rapide, questa volta simulo il tutto come si deve, registrando l’avvicinamento col Gps e portandomi per la prima volta il telefono in grotta (lasciato all’imbocco del primo pozzo), perché in effetti ha più senso averlo lì in caso di necessità, piuttosto che dover uscire dalla grotta e dover arrivare fino all’auto a riprenderlo (impresa affatto banale a quanto mi hanno raccontato, soprattutto in caso di nebbia).
Ore 11:45: Entriamo.
Sacco non esagerato, ma bisogna avanzare con passo regolato per non sudare eccessivamente: la discesa è tranquilla, Grava d’Inverno e i suoi abitanti ci accolgono in un silenzio di pace, qualcuno dorme appeso a testa in giù: “Occhio qui, fai attenzione a non disturbarlo!”...”e che cazzo, proprio vicino al frazionamento si doveva addormentare?!”. Scendiamo: pozzetti, P35, l’ultima calata attrezzata dai ragazzi...finalmente il mio primo armo! Pino comincia a tirar fuori l’occorrente dal sacchetto d’armo, mentre io mi allungo sulla cengia per studiare passaggio e calata: un attacco naturale, primo buco, armo un traverso che porta all’imbocco del salto da 5m: “Pinoooo a me non sembrano 5m!”, “Ma noooo, è che da sopra non sembrano”...infatti da sotto ne sembreranno all’incirca una ventina.
Comunque io armo e fortunatamente ho delle agevolazioni: Pino per l’occasione ha pensato bene di usare un canapone che a malapena entrava nel discensore (farci la chiave non lo racconto proprio), niente moschettoni ma solo maglie rapide (ché qua il materiale non è che ce lo regalano) e quando hai finito di bestemmiare perché il canapone a malapena ci entrava dentro e, strapieno di fango, è un casino aprire, chiudere...ché ti scivola tutto, ecco che Pino caccia fuori le ultime maglie rapide che non erano neanche da 13, ma da 14...nessuno dei due ovviamente ha la chiave.
Ma finalmente arriviamo giù: posso scaricarmi tutta l’attrezzatura da dosso e, da ‘albero di Natale’, ritorno un normale speleologo...posso dirmi soddisfatto del mio primo armo. La grotta cammina oramai in orizzontale: un passaggio tra crolli e dopo una disarrampicata di qualche metro siamo finalmente al vecchio fondo. L’acqua è stupenda, un blu che spicca soprattutto perché tutto intorno è fango, fango di cui credo mi ricorderò per tutta la vita, perché data un’occhiata sommaria e guardato l’orologio (sono le 15:45) decidiamo di risalire.

Il primo ad avviarsi e Pino: dà un’occhiata in un punto che poi decideremo che in futuro uno sguardo in più lo merita, supera il frazionamento e arriva sopra.
“LI-BE-RA!”
Ok, mi preparo: qualche pedalata e sono già al frazionamento, passo al tiro lungo e qualcosa non va come dovrebbe: all’inizio era soltanto la maniglia che ogni tanto andava di liscio, ma bastava muoverla in maniera più lenta e decisa per bloccarla. A metà salto invece si aggiunge anche ìl croll: il troppo fango accumulato nello scarico della molla faceva si che quando salivo, la corda non scorreva e non appena con la mano destra la recuperavo da sotto per poter salire, la corda scorreva benissimo...perchè il croll rimaneva aperto! Un calvario: spostavi la maniglia...e dovevi assicurarti che fosse bloccata...pedalavi...e dovevi contemporaneamente con la mano destra tirare la corda (che oramai non ne voleva sapere più di sfilare) e bloccare il croll (che non si sarebbe richiuso da solo, perché oramai il sistema a molla era andato).
Pino: “T U T T O B E N E E E E?”
Risposta: “S I I I I I I… FINCHE’ MANIGLIA E CROLL NON MI SI APRONO CONTEMPORANEAMENTE!”
Arrivo su avanzando 10 cm alla volta: la risalita più stancante della mia vita. Ad un certo punto avevo anche pensato di fare cambio attrezzi e scendere per lavare i bloccanti, ma quando poi ho visto che il mio discensore era un ammasso di fango quasi concrezionato, ho pensato forse che era meglio risalire...piano piano...ma meglio risalire.
Racconto a Pino l’accaduto e intanto continuiamo a risalire: tra una bestemmia e una risata, ripercorriamo tutta la grotta a ritroso, sottolineando come a volte una semplice pausa possa cambiarti in meglio la vita:
NON HO NESSUNO SCOPO
E SONO FELICE…
Alle vaschette possiamo finalmente pulire un po’ meglio l’attrezzatura, ma l’acqua da sola non basta e la promessa che mi faccio per il futuro è procurarmi uno spazzolino o comunque qualcosa di adeguato per la pulizia degli attrezzi in caso di fango.
Ore 18:15: siamo fuori.
Sono le ultime deboli luci prima di una luna che illuminerà a giorno tutta la vallata dell’osservatorio astronomico: l’aria è calma, finalmente ci cambiamo, una bella tazza di the caldo, cioccolato fondente e anche questa giornata in grotta ha regalato tanti bei ricordi.
Domenico Perrotta